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Società estinte: conseguenza fiscale

L’art. 2495 co.2 c.c. e “l’efficacia costitutiva” della cancellazione della società dal Registro delle imprese è stata significativamente riformulata a seguito dell’entrata in vigore del D.lgs. n. 6/2003 con cui è stata ridisegnata la disciplina delle società di capitali e con cui è stato fatto trasmigrare il testo dell’art. 2456 c.c. (con alcune aggiunte e precisazioni) nell’art. 2495 c.c.

Con la nuova formulazione dell’art. 2495, comma 2 c.c. si è, dunque, voluto attribuire alla cancellazione della società (sia essa di capitali e/o di persone) una vera e propria “efficacia costitutiva” idonea a determinare da un lato, la totale estinzione della stessa e dall’altro, la possibilità di rifarsi esclusivamente sui soggetti fiscalmente responsabili (quindi soci, amministratori e liquidatori).

A seguito della cancellazione dal Registro delle imprese, la società deve intendersi estinta, anche in presenza di crediti rimasti insoddisfatti e di rapporti giuridici non ancora definiti, per cui gli atti impositivi notificati alla società estinta devono considerarsi inesistenti e privi di ogni effetto giuridico.

I creditori sociali potranno comunque far valere la loro pretesa sia nei confronti dei soci (fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione), che nei confronti dei liquidatori se il mancato pagamento è dipeso da colpa degli stessi come previsto dall’art. 2495 c.c.

L’effetto estintivo si produce non già dall’iscrizione, ma soltanto dal momento dell’entrata in vigore della nuova disciplina.

Ed infatti, poiché non è possibile riconoscere efficacia retroattiva all’art. 2495 c.c., la giurisprudenza con le sentenze emesse ha precisato che:

a) nelle ipotesi di società cancellate successivamente all’entrata in vigore del D.Lgs n. 6/2003, gli effetti estintivi potranno farsi risalire contestualmente alla cancellazione;

b) nelle ipotesi di società cancellate anteriormente al 01 gennaio2004, gli effetti estintivi decorreranno da tale data;

c) anche per le società di persone, la cancellazione dal Registro delle imprese, ne determina la conseguente estinzione (seppure con le dovute differenze in ordine alla natura dichiarativa anziché costitutiva della cancellazione e alla diversa misura delle responsabilità dei soci).

In queste ipotesi a subentrare nella posizione processuale della società cancellata è il socio cha abbia riscosso la quota ad esso spettante sulla base del bilancio finale di liquidazione.

Il socio di una società di capitali, estinta per cancellazione dal registro delle imprese, succede a questa nel processo a norma dell’art. 110 c.p.c. (che prefigura un successore universale ogni qualvolta viene meno una parte) solo, però, laddove abbia riscosso somme in base al bilancio finale di liquidazione, secondo quanto dispone l’art. 2495 c. 2 c.c.

L’estinzione della società a seguito di cancellazione determina, nei processi in corso nei confronti dell’ente, l’applicazione delle regole generali dettate dagli artt. 299 e seguenti c.p.c., poiché essa costituisce vicenda equiparabile alla morte della parte persona fisica.

Ne consegue che, per difetto assoluto della ‘giusta parte‘ processuale, è inammissibile l’impugnazione proposta nei confronti di una società di capitali cancellata dal registro delle imprese nelle more del processo.

All’atto della cancellazione della società dal Rdi in capo ai soci si cristallizza un fenomeno di tipo successorio idoneo a renderli titolari sia dei rapporti attivi, che di quelli passivi della società estinta.

Pertanto, saranno chiamati a rispondere delle obbligazioni nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione oppure illimitatamente, a seconda che la società cancellata fosse o meno una società di capitali.

Con l’art. 28, comma 4. del D.lgs. n.175/2014 (decreto semplificazioni fiscali), il legislatore ha, però, stabilito che “ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’articolo 2495 del c.c.  ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal registro delle imprese”.

Di fatto, è stato previsto che la società, cancellata dal registro delle imprese e, quindi, estinta alla stregua della nuova formulazione di cui all’art. 2495 c.c., comunque possa rimanere in vita nei cinque anni successivi alla cancellazione, con riferimento limitato alle sole ipotesi in cui il l’A.F. debba effettuare la sua attività di accertamento.

Per poter chiedere il pagamento dei debiti erariali della società direttamente ai soggetti fiscalmente responsabili è necessario, però, che venga emesso nei loro confronti un provvedimento motivato e contenente le ragioni di tale trasferimento di responsabilità dalla società ai suoi soci ed amministratori.

Trattandosi, però, di un credito non tributario, bensì civilistico (poiché fondato sul presupposto della mera responsabilità gravante in capo agli amministratori e ai liquidatori), sarà necessario che l’A.F. proceda notificando un atto motivato8 direttamente a quest’ultimi, in modo che siano messi nelle condizioni di impugnarlo secondo le disposizioni del processo tributario.

La responsabilità per il pagamento delle imposte potrà trasmigrare, pertanto, solo a condizione che vi sia un provvedimento motivato con cui si evidenzino le ragioni di tale passaggio.

L’art. 28, comma 4, del D.lgs. 21 novembre 2014, n. 175, recante disposizioni di natura sostanziale sulla capacità delle società cancellate dal registro delle imprese, non ha, diversamente da quanto sostiene l’Agenzia delle Entrate, valenza interpretativa, neppure implicita e non ha, quindi, alcuna efficacia retroattiva, per cui: “il differimento quinquennale degli effetti dell’estinzione della società derivanti dall’art. 2495, secondo comma, cod. civ., si applica esclusivamente ai casi in cui la richiesta di cancellazione della società dal registro delle imprese sia presentata nella vigenza della nuova disciplina di detto D.lgs., ossia il 13 dicembre 2014, o successivamente.  

Depone a favore dell’irretroattività anche la clausola generale contenuta nell’art. 11 delle Preleggi (che prevede che “la Legge non dispone che per l’avvenire”) e l’art. 3, comma 1, L. 212/00, secondo cui, salva l’interpretazione autentica, le leggi tributarie non sono retroattive.

Pertanto, la norma in esame non può che ritenersi di carattere sostanziale e, dunque, applicabile senza effetto retroattivo.

Non ha, poi, particolare rilevanza la circostanza che il periodo di permanenza in vita della società per i controlli fiscali e contributivi coincida con quello quinquennale per l’accertamento in quanto, “la fattispecie oggetto dell’articolo 28, comma 4, del D.lgs 175/2014 attiene alla capacità della società e non ai termini fissati dall’accertamento”, che sono disciplinati da un’altra normativa.

Il D.lgs. 175/14 sembra sia idoneo a determinare un’inevitabile violazione dell’art. 3 della Costituzione, stante la “… sussistenza irragionevole di una disparità di trattamento tra enti creditori aventi titolo a richiedere tributi e contributi da un lato e tutti gli altri creditori sociali dall’altro”.

Nicola Recinello Coordinatore Nazionale Dipartimento Giuridico