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Estratto di ruolo – irretroattività dell’art. 12, c. 4-bis, DPR 602/73 – prima parte

Il legislatore, in sede di conversione del D.L. 146/2021, entrata in vigore il 21 dicembre 2021, ha introdotto l’art. 3-bis comma 1, così modificando l’art. 12, D.P.R. 602/1973, aggiungendosi, infatti, il comma 4-bis.

L’Agente della riscossione ha obbligo collaborativo, così come vuole l’art. 10 della L. 212/2000, costituendo principio generale, tanto del diritto delle obbligazioni, ex art. 1175 c.c., quanto del diritto processuale, ex art. 88, 175 c.p.c., il dovere di comportarsi con correttezza, ex art. 1175 c.c., buona fede, ex art. 1375 c.c., e di autoresponsabilità, ex art. 1227, comma 2, c.c., nell’evadere le richieste del contribuente.

Nel caso di richiesta del contribuente di ricevere copia della cartella, corredata dalla prova della sua corretta notificazione, nell’ipotesi in cui l’Agente della riscossione vi assolva a mezzo dell’estratto di ruolo dallo stesso formato, si disattenderebbe al dictum dell’articolo 26, comma 5, del D.P.R. 602/73 e, se la notifica non è avvenuta direttamente nelle mani dell’interessato, non si fornirebbe ogni documentazione a legittimare la diversa forma di notifica.

Qualora nei procedimenti azionati, poi, davanti la Commissione Tributaria Provinciale, di valore fino a € 50.000,00, azionabile mediante “Reclamo e Mediazione”, ex art. 17-bis D.lgs 156/2015, l’Agente della riscossione, con il relativo esame preliminare, da darsi entro 90 giorni, pur avendo la possibilità di dare dimostrazione documentale della ritualità o meno della notificazione dell’atto impugnato, non vi provvedesse, rimandando tale prova documentale alla eventuale fase successiva, data dall’azionamento del ricorso, in tale ipotesi “si obbligherebbe il ricorrente a proseguire con il ricorso”, poiché “nella mancata corretta risposta, il contribuente potrebbe presumere possa esservi un difetto di notifica dell’atto”, diversamente rinuncerebbe a depositare il ricorso nella segreteria della Commissione Tributaria Provinciale di riferimento, per non incorrere nella sanzione di cui all’articolo 96, comma 3, del codice di procedura civile.

Se, infatti, il contribuente fosse edotto ab origine della “legittimità della notifica dell’atto” e purtuttavia azionasse il procedimento, il Giudice troverebbe poi ragione per sanzionarlo, giusta la previsione di cui all’art. 15 del D.lgs 546/1992.

Ha ripetutamente chiarito il giudice di legittimità che: “è impugnabile” ogni atto che porta una specifica somma da pagare, pur se non rientrante, tale atto, nella norma che regola l’impugnazione tributaria, di cui all’art. 19 del D.P.R. 602/73, così senza necessità di attendere che la stessa si vesta della forma autoritativa di una delle fattispecie dichiarate espressamente impugnabili (ex plurimis Cass., sez. trib., sent. n. 14373 del 15.06.10; Cass., SS.UU., sent. n. 16429 del 26.07.07; Cass., SS.UU., sent. n. 16293 del 24.08.07), ciò anche se l’elencazione degli “atti impugnabili”, contenuta nell’art. 19 del D.lgs. 546 del 1992, deve considerarsi tassativa, essa va interpretata in senso estensivo, sia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente e di buon andamento della pubblica amministrazione e sia in conseguenza dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la L. n. 448 del 2001. La facoltà riconosciuta al contribuente di ricorrere al giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall’ente impositore che, con l’esplicitazione delle concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che la sorreggono, porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità di attendere che la stessa, ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adempimento cui è naturaliter preordinato l’invito bonario al pagamento, si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall’art. 19 citato, ingenerando così nel contribuente l’interesse a chiarire subito la sua posizione con una pronuncia dagli effetti non più modificabili (ex plurimis Cass., sent. n. 23532/20; Cass., sent. n. 23469/17; Cass., sez. trib., sent. n. 27494 del 30.12.16; Cass., sez. VI, sent. n. 3315 del 19.02.16; Cass., sent. n. 25297/14; Cass., sez. lav., sent. n. 18642 del 30.10.12; Cass., sez. trib., sent. n. 7344 del 11.05.12; Cass., sez. trib., sent. n. 10987 del 18.05.11; Cass., sent. n. 4513/09).

Si potrebbe ritenere che l’art. 4-bis cit., non possa avere valenza retroattiva e, quindi, riguardare i ricorsi precedentemente azionati, ciò in quanto, l’art. 11 preleggi stabilisce che: “la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”;  l’art. 15 delle preleggi stabilisce che: “Le leggi non sono abrogate che da leggi posteriori per dichiarazione espressa del legislatore, o per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti o perché la nuova legge regola l’intera materia già regolata dalla legge anteriore”; l’art. 1, comma 2, L. 212/00, prevede che: “L’adozione di norme interpretative in materia tributaria può essere disposta soltanto in casi eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica” e l’art. 6, comma 1, della L. 212/00 prevede che: “L’amministrazione finanziaria deve assicurare l’effettiva conoscenza da parte del contribuente degli atti a lui destinati”.

Nicola Recinello Coordinatore Nazionale Dipartimento Giuridico