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Verifica preliminare del ricorso tributario, art. 27 D.Lgs 546/92, Parte 3°

La Corte di Cassazione, nel censurare le sentenze emesse dalle Commissioni Tributarie Regionali, in contrasto con l’art. 27 del D.lgs 546/92, ha quindi chiarito che: “la norma di cui all’art. 27, D.lgs. 546/92, è di stretta interpretazione e non può giustificare l’attribuzione in via estensiva alla Commissione Tributaria, organo collegiale, del potere di rilevare e dichiarare, con sentenza la inammissibilità, ancorché in ipotesi manifesta, del ricorso, convergendo in tal senso considerazioni legate alla ratio della disposizione, nonché chiari indici di carattere testuale. Occorre rimarcare che la detta norma, la quale attribuisce al Presidente di Sezione il compito di provvedere ad un esame preliminare del ricorso e, in tale sede, il potere di dichiararne con decreto l’inammissibilità, se manifesta, risponde ad una esigenza al tempo stesso di accelerazione e deflazione del contenzioso e, in particolare, a quella di evitare di investire la Commissione, organo collegiale, di ricorsi palesemente inammissibili. Appare evidente, dunque, che una tale ratio non potrebbe più valere a giustificare una declaratoria di inammissibilità emessa dal collegio in assenza di contraddittorio, una volta che, per l’appunto, con la fissazione dell’udienza avanti la C.T.P., il vantaggio di deflazionare il contenzioso è comunque di per sé perduto. Sul piano più strettamente legato al dato positivo, proprio la forma del provvedimento (decreto) e la prevista sua impugnabilità con reclamo innanzi alla Commissione, nonché gli esiti di tale eventuale reclamo quali disciplinati dall’art. 28, ne evidenziano l’insostenibilità sul piano sistematico. Si ricava infatti da tali norme che: a) proprio la possibilità di reclamo al Collegio del provvedimento Presidenziale emesso in forma di decreto consente di escludere che l’istituto possa integrare una lesione dei principi del giusto processo di cui all’art. 111 Cost. oltre che del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost.; b) il collegio, dunque, nel meccanismo disegnato dalle norme, lungi dal poter esso stesso ascriversi il potere di dichiarare l’inammissibilità del ricorso, ancorché manifesta, in assenza di contraddittorio, è al contrario indicato come garanzia dello stesso, ancorché subordinata all’impulso di parte; c) una volta proposto reclamo il collegio può bensì eventualmente confermare, con sentenza, la valutazione di manifesta inammissibilità del ricorso, ma lo farà per l’appunto all’esito di un contraddittorio ritualmente instaurato; d) la ricostruzione accolta nella sentenza impugnata, nel postulare la possibilità di dichiarare con sentenza da parte del collegio l’inammissibilità del ricorso, ancorché manifesta, senza preventiva instaurazione del contraddittorio, eluderebbe in radice tale meccanismo e farebbe con ogni evidenza emergere profili di dubbia costituzionalità della disciplina così interpretata, non potendosi ovviamente ritenere rimedio equipollente a quello previsto dal legislatore la mera possibilità di impugnare con appello la sentenza in tale contesto emessa. L’accertamento dei requisiti processuali costituisce, pertanto, una questione preliminare che l’Organo giudicante deve risolvere prima di ogni altro profilo di ricorso, attendendo al diritto processuale, in quanto influente sul rapporto processuale, che è questione diversa, concernente il merito della causa”.

Atteso quanto sopradetto, ne deriva che, laddove il Presidente di sezione, pur nella manifesta inammissibilità del ricorso non ne abbia data dichiarazione alle parti in lite, a mezzo ordinanza, ha fatto violazione dell’art. 27 del D.lgs 546/92, incorrendo poi in violazione anche il Collegio, che si è fatto carico di un tale rilievo, pur di spettanza del Presidente di Sezione, così risultando illegittima la sentenza con cui è stata dichiarata la inammissibilità del ricorso, per tardività, e/o quant’altre ragioni di manifesta inammissibilità.

Va, infine, evidenziato, attesane la rilevanza, che: “dopo la declaratoria di inammissibilità per tardività del ricorso azionato, il Giudice non potrà pronunciarsi sulle questioni di merito postedalle parti in lite, visto che, con detta dichiarazione, si spoglia della relativa “potestas iudicandi”.

Nicola Recinello Coordinatore Nazionale Dipartimento Giuridico