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Estratto di ruolo – irretroattività dell’art. 12, c. 4-bis, DPR 602/73 – terza parte

Si ritiene, altresì, che la norma in commento potrebbe essere “incostituzionale”, ciò in quanto: “potrebbe comprimere il diritto alla difesa, ponendosi in netto contrasto con le previsioni dell’articolo 24 della Costituzione, nel mentre, come precisato dalla Corte di Giustizia Europea, il rispetto dei diritti della difesa costituisce un principio generale del diritto comunitario che trova applicazione ogni qualvolta l’Amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo (cfr Corte di Giustizia UE, sentenza 18 dicembre 2008, C-349/07).

Potrebbe violare, poi, i principi di uguaglianza e di capacità contributiva, di cui agli articoli 3 e 53 della Costituzione, risultando, nell’applicazione della nuova disposizione normativa in commento, la disparità di trattamento tra persone fisiche (cui è preclusa l’impugnazione) e imprese che partecipano a gare d’appalto (invece legittimate all’impugnazione delle cartelle invalidamente notificate, pur se in espresse previsioni), ciò in probabile violazione, quindi, dell’articolo 3 della Costituzione, che pone ogni cittadino sullo stesso piano di diritti e doveri, per cui potrebbe essere evidente, poi, la probabile violazione anche dell’articolo 53 della Costituzione, che riguarda la lesione del principio di capacità contributiva.

Sarebbe leso anche l’articolo 2 della Costituzione, che impone al legislatore, in via astratta, di adoperarsi affinchè vi sia un dialogo tra gli attori nel nostro ordinamento (fisco e contribuente), per cui opera il richiamo all’articolo 6, comma 1, della legge 212/2000, la quale dispone che “l’amministrazione fiscale ponga in essere ogni iniziativa idonea a far conoscere le proprie pretese al contribuente”.

Potrebbe configurarsi una violazione dell’articolo 3 della Carta Costituzionale, in quanto si consentirebbe di poter adoperare una disparità di trattamento non solo tra chi potrebbe ricevere una intimazione di pagamento, così da porre in atto l’impugnazione avverso gli atti prodromici, quindi non attendendo la minaccia di esecuzione, ma anche tra chi non abbia un interesse diretto all’impugnazione secondo quanto è disposto dall’emendamento, ciò in quanto, se è vero che il ruolo sottoscritto, articolo 12 del D.P.R. n. 602/1973, è un titolo esecutivo, non si comprende la mancanza di interesse all’impugnazione, di cui all’articolo 100 del codice di procedura civile, se questo non sia stato legittimamente notificato, a mezzo della cartella.

Vi sarebbe poi lesione dell’articolo 97 della Costituzione, nella sua più ampia accezione, ricomprendente quella stabilita dall’articolo 1 della legge 212/2000 e dall’articolo 1 della legge 241/1990 sul procedimento amministrativo, venendo in rilevanza aspetti in termini di astrattezza, ma incidenti in modo molto più concreto, potendo l’Amministrazione Finanziaria essere legittimata a non notificare più le cartelle esattoriali, fino ad arrivare al paradosso di spostare la tutela in sede di esecuzione e pertanto si verrebbe a perdere il principio di trasparenza.

Si potrebbe ritenere, poi, non rispettato l’articolo 77 della Costituzione, in quanto non si comprende come si possa configurare la sussistenza di un “caso straordinario di necessità e urgenza”, in quanto l’emanazione di un decreto legge esige l’esistenza di un fatto eccezionale (straordinario) che impone in modo inevitabile (necessità) e immediato (urgenza) di provvedere, ed in quanto la modifica è stata introdotta direttamente in sede di conversione in legge ed ha un oggetto palesemente estraneo a quello del decreto legge, nel mentre la Corte Costituzionale ha più volte chiarito che: “se nessun dubbio può residuare in ordine alla giurisdizione del giudice ordinario sulle contestazioni alla pretesa contributiva, quanto alla pretesa creditoria in astratto spettante alla giurisdizione del giudice tributario deve applicarsi quanto stabilito dal giudice delle leggi (cfr Corte Cost., sent. n.114/18), anche in quanto, per costante giurisprudenza costituzionale, la legge di conversione rappresenta una legge funzionalizzata e specializzata, che non può aprirsi ad oggetti eterogenei rispetto a quelli originariamente contenuti nell’atto con forza di legge; tuttavia un difetto di omogeneità, rilevante come violazione dell’art. 77, secondo comma, Costituzione, si determina solo quando la disposizione aggiunta in sede di conversione sia totalmente «estranea», o addirittura «intrusa», cioè tale da interrompere ogni nesso di correlazione tra il decreto-legge e la legge di conversione. La coerenza delle disposizioni aggiunte in sede di conversione rispetto alla disciplina originaria del decreto-legge può essere valutata sia dal punto di vista oggettivo e materiale, sia dal punto di vista funzionale e finalistico (cfr Corte Costituzionale, sent. n. 30/2021).

La Corte Europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU), chiamata a decidere se, attraverso leggi retroattive, lo Stato avesse violato il diritto dei ricorrenti a un processo equo, ha costantemente ritenuto che: “in linea di principio, non è precluso al potere legislativo regolamentare in materia civile, con nuove disposizioni dalla portata retroattiva, diritti risultanti da leggi in vigore. Essa ha precisato che il principio della preminenza del diritto e il concetto di processo equo sanciti dall’art. 6 ostano, salvo che per imperative ragioni di interesse generale, all’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia al fine di influenzare l’esito giudiziario di una controversia” e ha aggiunto che l’esigenza della parità fra le parti implica l’obbligo di offrire a ciascuna parte una ragionevole possibilità di presentare la propria causa senza trovarsi in una situazione di netto svantaggio rispetto alla controparte (ex plurimis, Corte Europea, sentenze 25 marzo 2014, xxx e altri contro Italia, paragrafo 47; 14 gennaio 2014, bbb e altri contro Italia, paragrafo 47; 7 giugno 2011, ccc e altri contro Italia, paragrafo 58).

Ha poi chiarito che: “Al fine di verificare la compatibilità di norme retroattive con l’art. 6 della CEDU, la Corte EDU è solita valorizzare alcuni elementi, ritenuti sintomatici dell’uso distorto della funzione legislativa. Essi attengono al metodo e alla tempistica seguiti dal legislatore (ex plurimis, Corte Europea sentenza 11 dicembre 2012, xxx contro Croazia, paragrafo 40), può dunque rilevare che lo Stato o una amministrazione pubblica sia parte del processo (ex plurimis, Corte Europea, sentenza 24 giugno 2014, bbb e altri contro Italia, paragrafo 77), può anche rilevare la prevedibilità dell’intervento legislativo (ex plurimis, Corte Europea, sentenze 24 giugno 2014, xxx e altri contro Italia, paragrafo 50; xxx contro Croazia, paragrafo 53; 27 maggio 2004, xxx e altri contro Francia, paragrafo 72; 23 ottobre 1997, xyz contro Regno Unito, paragrafo 112).

La Corte EDU si è soffermata, inoltre, “sull’adozione di norme in concomitanza con un determinato andamento della lite, tenuto conto anche del suo stato (ex plurimis, Corte Europea, sentenze sui casi: Azienda xi contro Italia, paragrafo 77; xxx contro Croazia, paragrafo 54), al dato temporale che attiene al trascorrere di molti anni prima che il legislatore scelga di intervenire (ex plurimis, Corte Europea, sentenza 15 aprile 2014, x. e altri contro Italia, paragrafo 42).

La Corte di Strasburgo ha più volte ribadito che “in linea di principio non è vietato al potere legislativo di stabilire in materia civile una disciplina innovativa a portata retroattiva dei diritti derivanti da leggi in vigore, ma il principio della preminenza del diritto e la nozione di processo equo sanciti dall’art. 6 della Convenzione, ostano, salvo che per motivi imperativi di interesse generale, all’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia al fine di influenzare l’esito giudiziario di una controversia (sentenze 11 dicembre 2012, xxx contro Italia; 14 febbraio 2012, xxx e altri contro Italia; 7 giugno 2011, xxx contro Italia; 31 maggio 2011, xxx e altri contro Italia; 10 giugno 2008, xxx e altri contro Italia; 29 marzo 2006, xxx e altri contro Italia) e che  le circostanze addotte per giustificare misure retroattive devono essere «trattate con la massima circospezione possibile (sentenza 14 febbraio 2012, x e altri contro Italia), in particolare quando l’intervento legislativo finisca per alterare l’esito giudiziario di una controversia (sentenza 28 ottobre 1999, x e altri contro Francia), anche in riferimento lo stato del giudizio, il grado di consolidamento dell’accertamento e la prevedibilità dell’intervento legislativo (sentenza 27 maggio 2004, x e altri contro Francia), nonché la circostanza che lo Stato sia parte in senso stretto della controversia (sentenze 22 ottobre 1997, x contro Grecia; 23 ottobre 1997, xxx e altri contro Regno Unito), elementi tutti valorizzati dal giudice di Strasburgo per affermare la violazione dell’art. 6 della CEDU da parte di norme innovative che incidono retroattivamente su controversie in corso.

Sempre a proposito del rapporto tra leggi retroattive ed esercizio della funzione giurisdizionale, la Corte di Giustizia Europea: “ha ripetutamente affermato la corrispondenza tra principi costituzionali interni e principi contenuti nella CEDU e ha altresì osservato che il principio costituzionale della parità delle parti è violato quando il legislatore statale immette nell’ordinamento una fattispecie di ius singulare che determina lo sbilanciamento fra le due posizioni in gioco (ex plurimis Corte Costituzionale, sentenza n. 191/2014; Corte Costituzionale, sentenza n. 186/2013).

La possibilità di attivare il sindacato del giudice su atti immediatamente lesivi, appartiene al diritto, inviolabile e quindi fondamentale, di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi (articolo 24 Costituzione), senza che contro gli atti della Pubblica Amministrazione la tutela giurisdizionale possa essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti (articolo 113 Costituzione), per cui, laddove la censura della parte assoggettata a riscossione esattoriale non radichi una controversia devoluta alla giurisdizione del giudice tributario e quindi sussista la giurisdizione del giudice ordinario, l’impossibilità di far valere innanzi al giudice dell’esecuzione l’illegittimità della riscossione mediante opposizione all’esecuzione, essendo ammessa soltanto l’opposizione con cui il contribuente contesti la mera regolarità formale del titolo esecutivo o degli atti della procedura e non anche quella con cui egli contesti il diritto di procedere alla riscossione, confligge frontalmente con il diritto alla tutela giurisdizionale riconosciuto in generale dall’articolo 24 della Costituzione e nei confronti della Pubblica Amministrazione dall’articolo 113 della Costituzione, ravvisando la giurisprudenza costituzionale una violazione del “principio della parità delle parti”, di cui all’articolo 111 della Costituzione, quando il legislatore statale immette nell’ordinamento una fattispecie di ius singulare che determina lo sbilanciamento fra le due posizioni in gioco, ciò in quanto non può essere consentito di risolvere, con la forma della legge, specifiche controversie […], violando i princìpi relativi ai rapporti tra potere legislativo e potere giurisdizionale e concernenti la tutela dei diritti e degli interessi legittimi (ex plurimis Corte Cost., sent. n. 186/2013; Corte Cost., sent. n. 85/2013; Corte Cost., sent. n. 374/2000; Corte Cost., sent. n. 94/2009), per cui, nelle ipotesi in cui il contribuente contesti il diritto di procedere a riscossione coattiva e sussiste la giurisdizione del giudice, non vi sia una risposta di giustizia se non dopo la chiusura di riscossione e in meri termini risarcitori, risultando ciò illegittimo, secondo il criterio del solve et repete (cfr Corte Cost., sent. n. 45/1962 e 79/1961).

Sotto il profilo in esame: “potrebbe sussistere dunque, in riferimento ai parametri costituzionali e a quello convenzionale interposto, la prospettata lesione dei principi relativi ai rapporti tra potere legislativo e potere giurisdizionale nonché delle disposizioni che assicurano a tutti l’effettiva tutela giurisdizionale dei propri diritti (cfr Corte Cost., sent. n. 12/2018).

Da una prima lettura, quindi, si ritiene che il comma 4 bis dell’art. 12 D.P.R. 602/73, potrebbe porsi in contrasto con gli articoli 2, 3, 24, 53, 77, 97,111e 113 della Carta Costituzionale.

Nicola Recinello Coordinatore Nazionale Dipartimento Giuridico