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Plagio

Con il termine plagio, nel diritto d’autore, ci si riferisce all’appropriazione, tramite copia totale o parziale, della paternità di un’opera dell’ingegno altrui nel campo della letteratura, dell’arte, della scienza, o comunque coperta dal diritto d’autore, che si voglia far passare per propria.

Tale termine, tuttavia, non è riscontrabile in nessuna disposizione legislativa in materia, perché la parola plagio si riferisce più strettamente al diritto irrinunciabile dell’autore alla paternità dell’opera e sussiste anche quando non vi fosse alcuna violazione del diritto dell’autore allo sfruttamento economico dell’opera, ad esempio perché tali diritti sono ormai scaduti.

Nelle legislazioni internazionali è frequente una tendenza all’equiparazione fra la violazione del diritto d’autore e il reato di furto.

Esiste un dibattito non solo sull’entità delle pene che una simile equiparazione comporta, ma anche sulla reale opportunità di accomunare le due tipologie di reato.

L’equiparazione al furto comporta infatti un considerevole inasprimento delle pene.

Un primo ordine di difficoltà, almeno nel diritto italiano, è che l’art. 624, nel delineare il reato di furto ha l’inciso sottraendola a chi la detiene che chiaramente non sussiste nel plagio, se non nel senso molto traslato di possibile diminuzione dei vantaggi economici.

Analogo dibattito investe il rispetto del proporzionalismo fra le pene rispetto alla gravità del reato.

Il plagio, infatti, prevede pene inferiori al furto.

In sostanza, chi copia e vende opere in forma identica all’originale commette un reato punito molto più severamente del plagio, ovvero di chi apporta lievi modifiche e, cambiando il titolo, si appropria di una qualche paternità sull’opera.

Nicola Recinello Coordinatore Nazionale Dipartimento Giuridico