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Dipendente pubblico, Mobbing – Configurabilità – Prova

 

La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la sentenza n. 3785 del 17 febbraio 2009, ha significato che, ai fini della configurabilità del Mobbing sono rilevanti:

  1. la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio;
  2. l’evento lesivo della salute o della personalità del dipendente;
  3. il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all’integrità psico-fisica del lavoratore;
  4. la prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio.

La ricorrenza di una condotta mobbizzante va pertanto esclusa quante volte la valutazione complessiva dell’insieme delle circostanze addotte e accertate nella loro materialità, pur se idonea a palesare “singulatim” elementi e episodi di conflitto sul luogo di lavoro, non consenta di individuare, secondo un giudizio di verosimiglianza, il carattere unitariamente persecutorio e discriminante nei confronti del singolo del complesso delle condotte poste in essere sul luogo di lavoro (vedasi Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza n. 2272 del 21 aprile 2010).

In particolare, la condotta di mobbing dell’Amministrazione Pubblica datrice di lavoro, consistente in comportamenti materiali o provvedimentali contraddistinti da finalità di persecuzione e di discriminazione, indipendentemente dalla violazione di specifici obblighi contrattuali nei confronti di un suo dipendente, deve da quest’ultimo essere provata e, a tal fine, valenza decisiva è assunta dall’accertamento dell’elemento soggettivo e cioè dalla prova del disegno persecutorio; poiché, in ogni caso, determinati comportamenti non possono essere qualificati come mobbing se è dimostrato che vi è una ragionevole e alternativa spiegazione (vedasi Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza n. 1991 del 07 aprile 2010; Consiglio di Stato, Sez. VI, sentenza n. 2015 del 06 maggio 2008).

Avv. Andrea Paolillo, Consigliere Nazionale Dipartimento Giuridico