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Marchi Deboli – parole d’uso comune

La differenza tra marchio “forte” e marchio “debole” si tasta soprattutto sotto il profilo della tutela, per cui il marchio “debole” ammette una tutela piuttosto limitata, o eventualmente più gravosa (in quanto dotato di capacità distintiva ridotta, ma maggiormente collegata al prodotto o servizio che contraddistingue).

La natura descrittiva o naturalmente qualificativa delle caratteristiche o delle finalità del prodotto o del servizio, si ripercuote in termini di ampiezza della tutela “minore”.

Si guadagna sotto il profilo della diretta e immediata riconducibilità comunicativa al prodotto o servizio; sotteso che la minore proteggibilità deriva da un interesse pubblico e privatistico diretto sia ad evitare di conferire ingiustificati e immeritati monopoli a chi non ha investito nella comunicazione di un messaggio di marketing e sia ad evitare che denominazioni, parole, simboli di uso comune o volgarizzati o qualificativi, che devono rimanere prerogativa libera del mercato o addirittura che appartengono al lessico o sentire comune, possano essere appannaggio di un singolo imprenditore.

In tal modo non si impedisce l’uso di “denominazioni, parole, simboli uso comune o volgarizzati o qualificativi”, anche in termini di identificazione funzionale, ad altri soggetti.

Tale “non impedimento dell’uso” garantisce sia il non contrasto alla leale concorrenza e sia la non appropriazione di termini o simboli facenti parte della storia della lingua e della vita quotidiana estranei a una ricerca di mercato, uno studio o una originale intuizione commerciale.

Si riconosce, pertanto, tutela al marchio debole nel solo caso che abbia acquisito carattere distintivo con l’uso intenso ed effettivo (cfr Tribunale di I Istanza, 14 maggio 2014, T-160/12 [Adler Modemärkte AG vs. UAMI e Blufin).

Il Tribunale di Milano, con l’ordinanza del 16 ottobre 2014, nel rigettare l’istanza volta alla tutela del “marchio debole”, l’ha motivata nella mancanza di prova della rinomanza del marchio anteriore (in quanto gli elementi denominativi apparivano di debole carattere distintivo, per cui bastavano lievi varianti ad escludere la contraffazione), non sussistendosi elementi per ritenere riprodotto, nel marchio contestato, il nucleo stilistico dominante del marchio anteriore, il cui ricordo rimane nella mente del consumatore medio.

Detta pronuncia rispecchia una logica di tutela dell’imprenditore, valutando il suo investimento e il suo lavoro in un mondo contestualmente affollato di brands, ridefinendo e chiarendo l’estensione del diritto di marchio agganciato alla tipologia di uso del medesimo. Ciò nel rispetto delle logiche di una concorrenza leale rispettosa del neminem laedere, riflettendo l’insegnamento della Dottrina più accreditata che ha sempre ritenuto che il marchio debole sia proteggibile solo con riferimento a “stilizzazioni ed elaborazioni, non al tipo dell’oggetto raffigurato”.

La sentenza in commento si inserisce nel percorso ormai sedimentato dalla Giurisprudenza nazionale (cfr Cass. 30 settembre 2003-27 febbraio 2004, n.3980; Cass. 9 luglio 1992 in Giur. Ann. Dir. ind. 1992, 2881; Cass. 26 giugno 1996, n. 5924, ivi, 1996, 3385), che ritiene che siano idonei ad escludere il rischio di confusione e la contraffazione del marchio lievi varianti, ove si tratti di un confronto tra marchi deboli.

Detta sentenza si pone, comunque, in controtendenza, rispetto ad un orientamento europeo, ancorato ad una valutazione del rischio di confusione tra i marchi considerato in astratto e non in concreto, dato dalla sentenza del Tribunale Europeo di I istanza, 10 settembre 2014, T-193/13, nella quale si legge: “il fatto che la veste grafica dei marchi in conflitto sia differente (…) non è sufficiente al fine di escludere qualsiasi rischio di confusione tra i marchi in conflitto, in particolare perché il pubblico di riferimento potrebbe facilmente credere che la veste grafica del marchio internazionale anteriore sia stata ammodernata” e ancora: “l’eventuale carattere distintivo debole del marchio internazionale anteriore non impedirebbe di constatare la sussistenza di un rischio di confusione nel caso in esame. (…) se è vero che il carattere distintivo del marchio internazionale anteriore deve essere preso in considerazione per valutare il rischio di confusione, esso è soltanto un elemento tra altri che intervengono al momento della valutazione. Difatti, anche in presenza di un marchio anteriore a debole carattere distintivo, può sussistere un rischio di confusione, in particolare, a causa di una somiglianza dei segni e dei prodotti o servizi di cui trattasi (cfr sentenza PAGESJAUNES.COM, punto 47 supra, EU:T:2007:387, punto 70), per cui si ritiene che “la confondibilità tra il marchio ed una ditta non può essere esclusa, quando trattasi di marchio debole, in presenza di qualsiasi lieve modificazione o aggiunta, se le espressioni differenziatrici non abbiano carattere qualificante, idonee ad escludere il pericolo di confusione”, come precisato dalla S.C. con la sentenza n. 9827 del 19 novembre 1994.

Nicola Recinello Coordinatore Nazionale Dipartimento Giuridico