Compensi di riscossione
Va, nel caso, ricordato che il Giudice delle leggi debitamente in tal senso precedentemente sollecitato, ha stabilito che: “la misura dell’aggio deve ritenersi ragionevole (e quindi costituzionalmente legittima) se contenuta in un importo minimo e… in un importo massimo … che non superi di molto la soglia di copertura del costo della procedura”, pronuncia che, pur facendo riferimento all’art. 3, comma 3, della Legge della Regione Sicilia n. 19/1989, trova qui riscontro relativo, stante l’attinenza della questione.
Ha, quindi, precisato la giurisprudenza, al riguardo, che: “la norma che regola gli oneri di riscossione (ricompresa nell’art. 17 D.lgs. 112/99, come modificata dall’art. 9, c. 1, D.lgs 159/15), quale prima facie, se si pone attenzione alla succitata funzione dell’onere riscossivo, impropriamente detto “aggio”, è facile poter qualificare il medesimo come un vero e proprio tributo.
Difatti, è la natura stessa del tributo che non prevede una sorta di contropartita a fronte di un servizio o di una prestazione.
Quanto ripetuto e non coincide, però, con la ratio dell’articolo in commento, il cui concetto giuridico e concreto è incentrato negli “oneri di riscossione e di esecuzione commisurati ai costi per il funzionamento del servizio” (di riscossione e non della riscossione, come da nuova previsione data dall’art. 9, comma 1, D.lgs 159/15).
Nemmeno trova albergo nella consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo la quale, l’aggio ha natura retributiva e non tributaria, né tanto meno sanzionatoria, lasciando al legislatore la fissazione dei criteri di quantificazione del compenso.
I compensi per l’azione di riscossione sono finalizzati alla diretta remunerazione delle somme da recuperare nei confronti del debitore.
La particolarità, quindi, del servizio che svolge l’agente della riscossione viene pagato (ovvero retribuito e commisurato) sulla base dei costi sostenuti, effettivi e reali, per il servizio di riscossione e di esecuzione.
La predisposizione di aliquote predeterminate per l’attività di riscossione di entrate pubblicistiche, non sconfina nel territorio dell’illegalità e della irragionevolezza, purché il servizio volto alla riscossione e all’eventuale fase dell’esecuzione venga (e sia stato) realmente posto in essere.
Per cui, se il contribuente, con l’iscrizione a ruolo deve rifondere all’agente della riscossione i costi (che si vorrebbero essere stati sostenuti) per il funzionamento e il relativo svolgimento del servizio di riscossione e se tale attività deve sfociare in un giusto compenso, quale ristoro e retribuzione, la contestazione con cui qui si eccepisce l’inesistenza e la sproporzione del costo per l’attività dell’agente della riscossione, comporta, inevitabilmente, una inversione dell’onere della prova in capo, quindi, all’agente della riscossione e la conseguente prova dell’esistenza dei costi relativi sostenuti.
Ne sovviene che l’agente della riscossione deve provare la legittimità della sua richiesta di pagamento dell’aggio, ex art. 2697 c.c., ciò in analogia dei crediti professionali legali. In assenza di tali prove la richiesta dei compensi di riscossione, così come formulata è, pertanto, illegittima.
Nicola Recinello Coordinatore Nazionale Dipartimento Giuridico