Tardività del ricorso, remissione in termini
I termini per proporre opposizione decorrono dal termine utile in cui il contribuente ha avuto reale conoscenza dell’atto, e certamente non può essere preclusa al contribuente la possibilità di fare opposizione nell’ipotesi in cui egli, per mancata conoscenza degli atti prodromici, non abbia potuto contestare una cartella nel termine perentorio previsto per legge.
Ha, infatti, chiarito la Corte di Cassazione che: “la conoscenza dell’atto non decorre dal momento in cui “legalmente” la notifica si è perfezionata, ma dal momento in cui il contribuente ha, materialmente. preso visione dell’atto, posto che l’inosservanza delle norme sulla notifica impedisce che operi la presunzione di conoscenza dell’atto”.
Non par dubbio, pertanto, che l’eccezione (laddove sollevata nel ricorso azionato), della mancata notifica della cartella esattoriale, non possa privare il destinatario del rimedio previsto dalla legge ed il momento di garanzia deve essere recuperato nei confronti del primo atto idoneo a porre il soggetto in grado di esercitare validamente il suo diritto di difesa.
Ha così precisato il Giudice del merito che: “il difetto dell’atto presupposto, quale elemento costitutivo della domanda di annullamento dell’atto susseguente per invalidità derivata e causa petendi dell’eventuale difesa nel merito della pretesa impositiva, deve essere dedotto dal ricorrente nell’atto introduttivo del processo a pena di inammissibilità, risultando altrimenti elusa la perentorietà dei termini di impugnazione, cosa che di fatto era avvenuta, avendo contestando inoltre l’illegittima della pretesa creditoria per intervenuta prescrizione del credito, quindi, opposizione ex art. 615, che non soggiace ad alcun termine di decadenza”.
Ne sovviene che è da escludere, in via più generale, la decadenza dal diritto all’impugnazione, per violazione del fondamentale diritto alla difesa di cui all’art. 24 Costituzione, nelle situazioni sopra descritte.
Ad ogni modo, pare opportuno, laddove si ritiene possano esservi situazioni di “tardività”, nella proposizione del ricorso, chiedere al Giudice adito la “remissione in termini”, chiarendone i motivi di una tale richiesta.
Ciò in quanto, la concreta applicazione dell’istituto della “rimessione in termini” passa attraverso l’espletamento di due necessarie verifiche:
1)la prima attiene alla presenza, in fattispecie, di un fatto ostativo che risultioggettivamente estraneo alla volontà della partee che dalla stessa non risulti governabile, neppure con “difficoltà”;
2)l’altra condizione attiene alla c.d.“immediatezza della reazione”, da intendere come tempestività del comportamento della parte di fronte al verificarsi del “fatto ostativo” in sé rilevante: nella prontezza dell’attivarsi, appunto, per superarlo o comunque per porre rimedio alla situazione che si è così venuta a determinare.
Ha in tal senso ulteriormente precisato la Corte di Cassazione che: “la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 175 del 2018, nel ritenere la legittimità costituzionale del primo comma dell’art. 26 del d.P.R. n. 602/1973, ha osservato che il ragionevole bilanciamento degli interessi pubblici e privati è comunque assicurato dalla facoltà per il contribuente di richiedere la rimessione in termini, ex art. 153 c.p.c., nel caso in cui, anche sulla base di idonei elementi presuntivi, fornisca prova di non aver avuto conoscenza effettiva dell’atto per causa a lui non imputabile”.
Ciò in quanto, secondo l’articolo 153, comma 2, del c.p.c.: “La parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice di essere rimessa in termini, per cui il giudice provvede a norma dell’articolo 294, secondo e terzo comma”, c.c.”.
Nicola Recinello Coordinatore Nazionale Dipartimento Giuridico