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Verifica preliminare del ricorso tributario, art. 27 D.Lgs 546/92, Parte 2°

Il Presidente della Sezione, quindi, scaduti i termini per la costituzione in giudizio delle parti, cioè dopo il termine di 60 giorni dalla presentazione del ricorso (termine entro cui deve costituirsi la parte convenuta), al fine dievitare la trattazione della causa, quindi per ragioni di economia processuale(accelerazione e deflazione delle liti, come di legge), è tenuto a verificare preliminarmente (ex art. 27 D.lgs 546/92)se vi siano eventuali cause manifeste di inammissibilità di legge.

Ed infatti: “il potere-dovere del giudice di verificare la tempestività dell’opposizione implica un accertamento correlato alle risultanze già ritualmente acquisite al processo, in considerazione della natura pubblicistica della decadenza, ciò anche in ragione di un criterio di economia processuale; detta ufficiosità, nonché la sequenza procedimentale appena descritta, portano a escludere l’operatività della norma di rinvio, di cui all’art. 1, comma 2 del D.lgs. 546/92, stante l’incompatibilità di tale subprocedimento, nell’ambito del processo tributario, rispetto alle regole che reggono l’interruzione del processo civile, vista anche la più accentuata natura dispositiva di quest’ultimo.

Spetta quindi al Presidente di sezione verificare preliminarmente anche la tempestività della impugnazione proposta.

Condizione necessaria, quindi, perché il Presidente della sezione possa e debba dichiarare lainammissibilità del ricorso per tardività”, ex art. 21 del D.lgs 546/92”, è chesia manifesta”, cioè immediatamente rilevabile dal contenuto dei documenti e degli atti nel momento prodotti (per tabulas) dalle parti in lite”, ragione per cui ne ha l’obbligo della loro preliminare visione e valutazione,ricorrendo a un’istruttoria documentale, e/o a presunzioni semplici, e/o alla regola generale sullo onere della prova contenuta nell’art. 2697 c.c. 

Ne sovviene che, in quanto l’esame preliminare corrisponde a un potere-dovere del Presidente di Sezione (come affermato anche dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, Dipartimento per le Politiche fiscali, con nota n. 66981 del 17 luglio 2002), il mancato rilievo di cause di inammissibilità e la nomina del relatore, unitamente alla fissazione della trattazione, corrisponde alla ammissibilità/legittimità del ricorso che, quindi,non può essere poi dichiarato “inammissibile” dal Collegio, a pena dell’illegittimità della sentenza data, laddove restano in atti gli identici documenti depositati in atti dalle parti in lite.

Il Collegio, infatti, può dichiarare la“inammissibilità del ricorso”, come già detto, solo laddove le parti abbiano “successivamente depositato in atti documentazioni, diverse da quelle precedentemente valutati dal Presidente di Sezione”.

La previsione dell’art. 22 del D.Lgs 546/92, per cui “il Giudice può dichiarare la “inammissibilità del ricorso in ogni fase e stato del procedimento”, nella correttezza della sua interpretazione, come ha più volte rimarcata la Corte di Cassazione, va letta come “ciò è legittima solo nel caso che, dopo la preliminare verifica del ricorso fatto dal Presidente di sezione, le parti in lite abbiano depositato in atti altri diversi documenti, capaci di legittimare così la inammissibilità del ricorso, prima non sussistente, che diversamente non può essere pronunciata”.

Il mancato assolvimento, a quanto espressamente, previsto dall’art. 27 cit., comporta, altresì, un “aggravio dei costi di lite”, circostanza questa di estrema rilevanzaper chi poi risulti soccombente nel giudizio.

Nicola Recinello Coordinatore Nazionale Dipartimento Giuridico