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Affinità visiva tra marchi – Concorrenza Sleale Confusoria

Al fine di valutare la ricorrenza della fattispecie denominata “Concorrenza Sleale Confusoria”, occorre operare una distinzione tra beni di lusso e beni a buon mercato, in quanto, il consumatore, in fase di valutazione per l’acquisto, presta una maggiore e particolare attenzione per i beni di lusso; mentre impiega un livello di attenzione inferiore per i beni a buon mercato e, di conseguenza, considera in maggior misura l’impatto grafico e la somiglianza visiva tra i beni concorrenti.

L’eventualità di confondere diversi prodotti (espressioni di marchi concorrenti), deve essere valutata in relazione al così detto consumatore medio, ovvero quello dotato di media diligenza e capacità, al contempo considerando la peculiare tipologia di clientela cui il prodotto è destinato, oltre alle ordinarie modalità di approccio alla tipologia di prodotto cui si riferisce.

Ricorre, quindi, la Concorrenza Sleale Confusoria, ex art. 2598, n. 1, c.c.., in chi “usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o i segni distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l’attività di un concorrente”. Per cui il consumatore, davanti ad un bene che riproduce in senso grafico e quindi visivo l’originale può confondersi ed identificarlo con quest’ultimo, oppure associarlo allo stesso produttore; in quanto “vede” normalmente il marchio come un tutto uno e non effettua un esame spezzettato dei singoli elementi, come precisato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 11031/2016.

 

Nicola Recinello Coordinatore Nazionale Dipartimento Giuridico