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Marchio violato in rete da inserzionista – responsabilità

E’ opportuno premettere e precisare che l’articolo 5, paragrafo 1, della prima Direttiva 89/104/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1988, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, abrogata dalla Direttiva 2008/95/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, entrata in vigore il 28 novembre 2008, è stata a sua volta abrogata a decorrere dal 15 gennaio 2019 dalla Direttiva (UE) 2015/2436 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2015.

E’ notorio che la pubblicazione di “determinati annunci” su altri siti Internet di ricerca di imprese, è determinata dal fatto che, alcuni gestori, di tali siti, li riprendono, all’insaputa e senza il consenso dell’inserzionista, con il solo fine di fare credere che il loro sito dispone di una solida base, così da invogliare l’utenza a servirsi di loro per fini commerciali.

Per cui non possono essere imputate a un inserzionista atti autonomi di altri operatori economici, con cui l’inserzionista non intrattiene nessun rapporto diretto o indiretto e che agiscono non su commissione e per conto di tale inserzionista, ma di loro propria iniziativa e in nome proprio, mentre, secondo la formulazione dell’articolo 5, paragrafo 1, l’espressione “usare” implica un comportamento attivo e un controllo, diretto o indiretto, sull’atto che costituisce l’uso.

Né può essere disconosciuto che la ratio dell’articolo 5 della Direttiva 2008/95 elenca non esaustivamente i tipi di uso che il titolare del marchio può vietare, menzionando esclusivamente comportamenti attivi da parte del terzo, quali quello di:  “apporre il segno” sui prodotti e il loro condizionamento o di utilizzarlo nella corrispondenza commerciale e nella pubblicità, di offrire i prodotti, di immetterli in commercio, di detenerli a tali fini, di importarli o esportarli o ancora di offrire o di fornire servizi contraddistinti da tale segno.

Ne deriva che la finalità dell’articolo 5, paragrafo 1, della Direttiva 2008/95, ha come scopo quello di fornire al titolare uno strumento giuridico che gli consenta di vietare e in questo modo di far cessare ogni uso del suo marchio fatto da un terzo senza il suo consenso; tuttavia, solo un terzo che abbia il controllo, diretto o indiretto, sull’atto che costituisce l’uso è effettivamente in grado di far cessare tale uso e quindi di conformarsi a detto divieto.

La Corte di Giustizia UE, Seconda Sezione, con la sentenza del 03 marzo 2016, n° C-179/15, relativamente ad una questione pregiudiziale in materia di marchi, sorta in seguito ad una controversia ungherese tra la Daimler AG e l’Együd Garage relativa alla pubblicazione su Internet di annunci che designano quest’ultima “officina autorizzata Mercedes-Benz”, ha precisato che l’articolo 5, paragrafo 1, lettere a) e b), della Direttiva 2008/95/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008 sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, deve essere interpretato nel senso che: “un terzo, indicato in un annuncio pubblicato su un sito Internet che contiene un segno identico o simile a un marchio tale da dare l’impressione che sussista un rapporto commerciale tra quest’ultimo e il titolare del marchio, non fa un uso di tale segno che può essere vietato da detto titolare in forza della citata disposizione qualora la pubblicazione di tale annuncio non sia stata eseguita o commissionata da tale terzo; o anche nel caso in cui la pubblicazione dell’annuncio sia stata eseguita o commissionata da tale terzo con il consenso del titolare, qualora detto terzo abbia espressamente preteso dal gestore di tale sito Internet, al quale aveva commissionato l’annuncio, di cancellare quest’ultimo o la dicitura del marchio che vi figura”.

Ciò perché la messa in rete su un sito Internet di ricerca di un annuncio pubblicitario, che menziona un marchio altrui, è imputabile all’inserzionista che ha commissionato tale annuncio e su istruzione del quale il gestore di tale sito, in qualità di prestatore di servizio, ha agito (per analogia, sentenze Google France e Google, da C 236/08 a C 238/08, EU:C:2010:159, punti 51 e 52).

Non si possono, invece, imputare a tale inserzionista atti o omissioni di un tale prestatore che, deliberatamente o per negligenza, non tiene conto delle istruzioni espressamente fornite da detto inserzionista volte, precisamente, a evitare tale uso del marchio.

Nicola Recinello Coordinatore Nazionale Dipartimento Giuridico