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Diritto Autore: bibliografia

Nell’ordinamento giuridico italiano, il “diritto d’autore” trova opportuno riscontro dal riconoscimento dell’opera dell’ingegno, poiché caratterizzata da “creatività”.

La tutela del diritto d’autore nasce, pertanto, quale riferimento all’opera nella creazione, in forza del quale i diritti appartengono “in via esclusiva” all’autore.

In materia di diritto d’autore, le fonti del diritto comprendono, oltre a quelle normative interne dei singoli Stati, anche le convenzioni internazionali.

Le prime norme sul diritto di copia (copyright) furono emanate dalla  monarchia inglese nel XVI secolo, nella volontà di operare un controllo sulle opere pubblicate nel territorio, ciò anche a seguito del diffondersi delle prime macchine automatiche per la stampa.

A tal fine, il governo, fondò una corporazione privata di censori, la London Company of Stationers (Corporazione dei Librai di Londra).

Agli editori furono concessi i diritti esclusivi di copia (copyright) su ogni stampa (con valenza retroattiva), nonchè quello di poter ricercare e confiscare le stampe ed i libri non autorizzati.

Ogni opera, per essere stampata, doveva, pertanto, essere registrata nel Registro della corporazione, solamente dopo un attento vaglio ad opera del Censore della corona, o dopo la censura degli stessi editori, per cui la corporazione degli editori esercitava, a tutti gli effetti, funzioni di polizia privata, dedita al profitto e controllata da parte del governo.

Ed infatti, ogni nuova opera veniva annotata nel registro della corporazione sotto il nome di uno dei membri della corporazione il quale ne acquisiva il “copyright”, nel mentre il reale autore non poteva recriminare alcunché, né trarne profitti.

Sul finire del XVII secolo,  l’imporsi di idee liberali nella società frenò le tradizionali politiche censorie e causò una graduale fine del monopolio delle case editrici.

Gli editori, pertanto, temendo una liberalizzazione della stampa e la concorrenza da parte di stampatori indipendenti ed autori, fecero valere, sul Parlamento, la propria moral suasion, basandosi sull’assunto che gli autori non disponessero dei mezzi per distribuire e stampare le proprie opere, e così riuscirono a mantenere tutti i privilegi acquisiti in passato, se pur, tuttavia, con la clausola che, detta “proprietà”, potesse essere trasferita ad altri tramite “contratto”.

E’ stato, quindi, su queste basi che, nel 1710, venne emanata la prima norma moderna sul “copyright”, denominato “lo Statuto di Anna” (Statute of Anna), per cui, gli autori, che fino ad allora non avevano detenuto alcun diritto di proprietà, ottennero il potere di bloccare la diffusione delle proprie opere, mentre la corporazione degli editori incrementò i profitti grazie alla cessione, sostanzialmente obbligatoria per ottenere stampa e distribuzione, da parte degli autori dei vari diritti sulle opere.

Nel corso dei successivi due secoli anche la Francia, la Repubblica Cisalpina, il Regno d’Italia, il Regno delle Due Sicilie e il resto d’Europa emanarono legislazioni per l’istituzione del copyright.

Con la Convenzione di Berna (CUB), stipulata il 9 settembre 1886, si provvide ad arrecare protezione alle opere letterarie ed artistiche, stabilendosi la tutela egualitaria per i cittadini degli Stati aderenti e delle altre nazioni ed un livello di tutela minimo, al fine del riconoscimento, reciproco, del diritto d’autore tra le nazioni aderenti; gli Stati Uniti vi aderirono a decorrere dal 1989.

In seguito alla stipulazione di Convenzioni come CUB e CUA, venne istituita, nel 1893, la BIRPI (Acronimo Francese di Bureaux Internationaux Réunis pour la Propriété Intellectuelle) meglio conosciuta dal 1967 come WIPO ed in Italia come OMPI (Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale).

Quest’organizzazione è nata con lo scopo di “promuovere attraverso la cooperazione internazionale la creazione, disseminazione, uso e protezione della mente umana per il progresso economico, culturale e sociale di tutta l’umanità“.

Nel XX secolo, l’avvento dei riproduttori ed in particolare del computer e delle Rete Internet, ha sottratto uno dei cardini alla base del copyright in senso classico, quale il costo e la difficoltà di riprodurre e diffondere sul territorio le opere, aspetti fino ad allora gestiti dalla corporazione degli editori, dietro congruo compenso o cessione dei diritti da parte degli autori, con  ciò rendendosi assai difficile la tutela del copyright e la creazione di nuovi spazi per gli autori.

In Italia, secondo la legge n. 633 del 22 aprile del 1941 (L.d.a.) sono protette dal diritto d’autore “le opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro ed alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione” (art. 1).

Il diritto d’autore sulle opere dell’ingegno è disciplinato, altresì, dagli articoli 2575 – 2583 del codice civile.

Il primo episodio, a rilevanza internazionale, riguardando la tutela del diritto d’autore, si è avuto a ridosso fra il XX e il XXI secolo, con il cosiddetto caso “Napster”.

La chiusura di Napster, avvenuta nel 2002 (generata dalle denunce dagli editori che vedevano nel sistema un concorrente ai propri profitti), non ha risolto, se non per breve tempo, gli insorgenti attriti.

In susseguenza sono stati creati nuovi programmi di “file sharing gratuito” (scambio e condivisione di file), così rimpiazzando l’originale “Napster”  (vanificandosi pertanto gli scopi della chiusura) ed in tal modo si è sviluppato e diffuso con l’imporsi delle tecnologie informatiche e del web e in particolar modo grazie al sistema del “peer-to-peer”.

Il 6 settembre 1952 venne, quindi, firmata a Ginevra, da 32 Stati, tra cui l’Italia, unitamente agli Stati Uniti d’America, la  Convenzione Universale sul diritto d’Autore (CUA), entrata in vigore in Italia il 26 gennaio 1957, con la quale sono state messe in contatto le due concezioni discordanti sul diritto d’Autore, tra gli USA e la Convenzione di Berna e secondo la quale: “il diritto d’autore opera di default come l’opera viene creata”.

Da precisarsi che gli Stati Uniti d’America non avevano, in precedenza, aderito alla Convenzione di Berna del 1886 sulla protezione delle opere letterarie ed artistiche.

La suddetta convenzione, la dichiarazione, la risoluzione ed i tre protocolli sono stati in seguito riveduti e firmati a Parigi il 24 luglio 1971 e hanno sostituito le disposizioni firmate a Ginevra.

Nel 1974 prese rilevanza come agenzia specializzata presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite, e successivamente, nel 1996, venne firmato un patto di cooperazione con la World Trade Organization (WTO), così espandendosi il ruolo e sottolineandosi sempre più la crescente importanza della proprietà intellettuale nel commercio internazionale.

Il ponte tra queste due linee giuridiche è costituito dall’adozione di una formalità minima, soddisfatta la quale i cittadini stranieri possono ottenere la tutela anche negli stati aderenti, nei requisiti presenti, sull’opera, del simbolo |c|, del nome dell’autore e della data di creazione dell’opera stessa.

Nel 1984, Richard Stallman e la Free Software Foundation svilupparono un meccanismo, originato dal copyright, specifico per la gestione dei diritti sulla proprietà dei software, denominato “copyleft”, a sottolineare una filosofia opposta a quella del copyright, principio applicato anche nell’ambito del software libero.

Nel 1991, inoltre, la Comunità europea ha stabilito che le norme di diritto comunitario prevalgono su quelle nazionali degli Stati membri.

In seguito, poi, alla sentenza del 20 ottobre 1993 (caso Phil Collins), è stato varato l’articolo 12, (nel trattato che istituisce la Comunità Europea), secondo il quale “gli stati non possono discriminare i beni provenienti da altri paesi”.

A fronte di questa caratteristica la tutela del diritto d’autore mira a non limitare spazialmente e territorialmente la protezione delle opere, per giungere ad una regolamentazione universale.

Ed infatti, secondo il “principio di territorialità”, le leggi devono essere applicate su un determinato territorio e, quindi, ai cittadini ivi residenti, per cui tutto ciò implica che “la protezione si applichi solo all’utilizzazione dell’opera che avviene nel territorio dello Stato”.

Il Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights (TRIPS) è stato adottato a Marrakech 15 aprile 1994 e riguarda: “Accordo relativo agli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio”.

Quest’accordo è stato stipulato da tutti gli Stati membri, intenzionati a ridurre le incomprensioni e gli impedimenti in ambito di commercio internazionale, tenendo conto della necessità di favorire una protezione sufficiente ed efficace dei diritti della proprietà intellettuale e operando in modo che le misure e le procedure da mettere in atto non diventino esse stesse ostacoli ai legittimi scambi.

Come la WIPO, anche il TRIPS contribuisce all’aumento dell’importanza della proprietà intellettuale nel commercio internazionale, ed è proprio nell’art. 7 che viene messo in evidenza “il collegamento tra protezione della proprietà intellettuale e sviluppo tecnologico, nell’interesse dei cittadini consumatori e produttori”.

Secondo un primo principio lo Stato deve riconoscere al cittadino straniero un trattamento equivalente a quello riservato ai propri cittadini in termini di diritto d’autore (secondo la clausola della “nazione favorita”), per cui l’accordo TRIPS impone a ogni Stato aderente di riservare ai cittadini di altri Stati membri, un trattamento non meno favorevole di quello riservato al proprio cittadino.

La durata della protezione del diritto d’autore è di 50 (cinquanta) anni dalla morte dell’autore, con le stesse eccezioni previste nella Convenzione di Berna nell’art. 7 (art. 12).

Questo è l’accordo internazionale sulla proprietà intellettuale di più ampia portata, infatti alla sua conclusione sono state inserite in un unico testo internazionale tutte le aree della proprietà intellettuale, quali: “il diritto d’autore; i diritti connessi al diritto d’autore; il marchio, le indicazioni geografiche; i disegni industriali; i brevetti; i lavori topografici;  il know-how; le informazioni segrete per motivi commerciali”.

In Italia, quanto sopra, trova riscontro nell’art. 54 della Legge 31 maggio 1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato), il quale recita: “I diritti su beni immateriali sono regolati dalla legge dello Stato di utilizzazione.”

L’articolo 54, L.218/95 sancisce come i diritti sui beni immateriali siano regolati dalla legge dello Stato di utilizzazione, per quanto l’avvento di internet complichi l’identificazione del luogo in cui è stata svolta l’attività.

Le legislazioni nazionali tendono al bilanciamento del diritto d’autore con gli altri diritti garantiti dalle Costituzioni:

La libertà economica, si esplica nel diritto all’iniziativa privata e alla proprietà privata, in tal senso la proprietà privata è protetta dal diritto d’autore e, nel contesto, l’iniziativa privata è limitata dalla durata del copyright e dalla possibilità del detentore dei diritti di ridurre o annullare, anche dietro equo compenso, l’utilizzo di terzi.

Il “diritto antitrust” trova uno scopo nell’impedire la formazione di monopoli legali non naturali, che ledono la libertà di impresa e sono stati storicamente un pericolo per le democrazie, non dovuti a risorse scarse, quali non sono e non possono essere per loro natura le informazioni, infinitamente replicabili.

In America la fonte principale del diritto d’autore è il Copyright Act, contenuta nel Titolo 17 dello United States Code e particolare rilevanza ha inoltre il cosiddetto fair use (uso o utilizzo leale, equo o corretto), una clausola legislativa presente nella citata legge; le violazioni di copyright sono pertanto considerate reato federale e possono comportare, in sede civile, multe fino a 100.000 $; tuttavia la legge statunitense prevede il concetto di “fair use”, che lascia ampi spazi per la riproduzione di opere con scopi didattici o scientifici.

Nei Paesi del Common Law (Gran Bretagna, Australia, Nuova Zelanda, Singapore) l’attenuazione alla rigidità del copyright è regolata dal “fair dealing”, che esenta le attività didattiche ed altre ipotesi dall’usuale normativa.

Nella comunità europea sono state emanate, nel corso degli anni, molte direttive riguardo al diritto d’autore.

Il Parlamento di Strasburgo nell’aprile del 2007 ha approvato il testo di una nuova direttiva, che mira a modificare la direttiva 2004/48/EC sui diritti di proprietà intellettuale, ed in quanto seconda direttiva sull’argomento ha preso il nome di IPRED2, detta “IP Enforcement”  (rafforzamento della proprietà intellettuale), recepita in Italia nel maggio del 2007, con l’intento di introdurre diverse misure a maggiore tutela dei detentori di diritti d’autore e riconoscendosi, implicitamente, un valore probatorio alla rilevazione degli indirizzi IP, in forza del quale si obbliga gli Internet Service Provider a fornire i dati personali degli utenti in caso di contestazione da parte dei detentori dei diritti.

In Germania la violazione del diritto d’autore viene equiparata al reato di furto, previste in cinque anni di reclusione (le più severe in Europa) e, per il reato, possono essere inquisiti anche i minori di 18 anni.

Le opere dell’ingegno possono essere divulgate e utilizzate economicamente anche fuori dai confini del singolo Stato in cui sono state create ed hanno quindi carattere di “ubiquità”.

Per quanto riguarda le opere italiane all’estero, l’ordinamento italiano si appoggia alle regole dello Stato in cui l’opera viene di volta in volta utilizzata.

La legge italiana non tutela tutte le opere che presentino caratteri di “proteggibilità”, in quanto “la protezione viene riservata solo alle opere di autori italiani e stranieri che vengano create o pubblicate per la prima volta esclusivamente in Italia”, mentre per le opere di autori stranieri, si applica la regola generale, contenuta nell’art. 16 delle preleggi, sul “Trattamento dello straniero” che stabilisce: “Lo straniero è ammesso a godere dei diritti civili attribuiti al cittadino a condizione di reciprocità e salve disposizioni contenute in leggi speciali“.

In tal senso lo Stato italiano riserva tutela all’autore straniero “solo se lo Stato di origine, di quest’ultimo, riserva ai cittadini italiani, nel suo territorio, gli stessi trattamenti che riserva ai suoi cittadini”.

Il “principio di assimiliazione” compare sia negli atti della Convenzione di Berna, sia nella convenzione universale sul diritto d’autore e ha valenza sia per le opere edite, sia per quelle inedite.

In base a tale principio: “ciascuno Stato è obbligato ad accordare agli autori stranieri la medesima protezione che accorda nei propri territori ai propri cittadini; il principio di assimilazione si applica naturalmente ai soli paesi che sono membri di convenzioni internazionali che lo prevedono”.

Il “Trattato di Marrakech”, che regola l’accesso ai testi pubblicati alle persone cieche, con incapacità visive o altre difficoltà ad accedere al testo stampato, è un trattato internazionale, sottoscritto da 51 stati, su impulso dell’Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale (OMPI), ha introdotto il principio che il diritto d’autore troviauna vistosa deroga di fronte alla necessità di permettere ai non vedenti o ipovedenti di accedere su un piano di parità al sapere.

La dottrina e la giurisprudenza negli anni hanno ricondotto la nozione di “creatività” all’esistenza di novità (opera non già esistente o opera che comunque risulti nuova rispetto allo stato delle conoscenze attuali) e originalità.

È, inoltre, necessario che l’opera sia espressa in una qualche forma e appartenga, o sia riconducibile, ai generi protetti dalla legge sul diritto d’autore, indipendentemente dall’eventuale pratica utilità, in quanto “il diritto d’autore non tutela l’idea in sé, ma in quanto tradotta, espressa, in una forma di carattere creativo”.

A seguito di recenti modifiche legislative, intervenute anche in applicazione di direttive europee per l’armonizzazione del diritto d’autore all’interno dell’Unione europea, oggi sono protetti dal diritto d’autore anche il “software” (come opera letteraria) e le “banche dati” (articolo 2 legge sul diritto di autore).

Più nello specifico per quanto riguarda il “software”, gli articoli 64bis ss l.d.a, garantiscono la protezione sia della forma letteraria comprensibile all’uomo (codice sorgente), sia della forma digitale (codice oggetto) e la tutela è estesa anche al materiale preparatorio alla base del programma, ma non alle idee ed ai principi; la creazione del software è titolo d’acquisto originario del diritto d’autore.

La “tutela delle banche dati” riguarda l’opera intesa come raccolta di dati ed elementi e la loro organizzazione ed accessibilità, ma non si estende al loro contenuto e lascia impregiudicati diritti esistenti su tale contenuto.

Il diritto d’autore e così in generale la proprietà intellettuale hanno subito forti adattamenti in conseguenza dello sviluppo tecnologico ed in particolare della rete Internet, per cui l’opera viene creata, pubblicata, trasportata, diffusa e riprodotta attraverso il bit, il file e questi aspetti hanno imposto in qualche modo una rivisitazione dell’istituto ed un suo adattamento.

La proprietà intellettuale può essere oggetto di “esproprio” per fini di “pubblica utilità”, prevalente sull’interesse del privato (ad esempio: “la distruzione o lo spostamento ad altro sito di un’opera d’arte anche contemporanea”; la realizzazione di un’autostrada o una ferrovia; la produzione di un farmaco, troppo costoso da acquistare dal legittimo produttore, non riconoscendo validità al brevetto sul territorio nazionale e non pagando il “copyright” allo scopritore, ciò in deroga ad un brevetto internazionale depositato all’estero); la definizione di pubblica utilità, per quanto ampia e discrezionale, solitamente riguarda prodotti tangibili, non la fruizione di servizi, come potrebbe essere un intrattenimento musicale.

Nicola Recinello Coordinatore Nazionale Dipartimento Giuridico