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Sequestro per equivalenza

Il sequestro (anche per equivalente) del profitto del reato, previsto dagli artt. 19 e 53 del D.lgs. 231/2001, è consentito nei confronti di società appartenenti al medesimo “gruppo” dell’ente indagato, solo se è pienamente provato il rapporto di controllo, collegamento o comunque l’influenza dominante.

Non è consentito, sulla base di una relazione di controllo o di collegamento societario non adeguatamente provato, in quanto solo genericamente prospettato, e fuori da un preciso coinvolgimento delle società partecipate nella consumazione dei reati-presupposto o, quanto meno, nelle condotte che hanno determinato l’acquisizione di un illecito profitto, ricavare l’esistenza di alcun nesso logico-giuridico tra quest’ultimo e il conseguimento di eventuali illeciti benefici da parte delle controllate.

In merito alla questione prezzo – profitto è stato affermato che, con riguardo ai reati tributari considerati dall’art. 1, comma 143, della legge n. 244 del 2007, il sequestro preventivo, funzionale alla confisca “per equivalente”, può essere disposto non soltanto per il prezzo, ma anche per il profitto del reato posto che l’integrale rinvio alle “disposizioni di cui all’art. 322- ter del cod. pen.”, contenuto nell’art, 1, comma 143, della legge n. 244 predetta, consente di affermare che, con riferimento appunto a detti reati, trova applicazione non solo il primo, ma anche il secondo comma della norma codicistica.

Ne discende che, anche in materia fiscale il sequestro a fini di confisca per equivalente del “profitto” dei reati fiscali de quibus era possibile anche prima della novella operata con L. n. 190/2012.

La misura della confisca, “pur consentendo di disporre lo spostamento della misura reale dal bene che costituisce profitto o prezzo del reato ad altro sempre ricadente nella disponibilità dell’indagato, solo quando non sia possibile la confisca del primo, richiede il preliminare accertamento circa l’esistenza obbiettiva di un bene costituente profitto o prezzo, la cui confisca sia impedita da un fatto sopravenuto che ne abbia determinato la perdita o il trasferimento irrecuperabile, oppure la trasformazione in beni di altra natura”.

In ordine alla qualificazione di profitto o prezzo del reato, anche in tema fiscale sono da individuarsi i principi generali espressi dal co. 1 dell’art 240 c.p. che prevede la confisca delle cose che sono “il profitto” del reato.

Per profitto del reato si intendono quelle cose che, pur non costituendo il risultato empirico dell’azione criminosa, ne rappresentano una conseguenza economica immediata.

Il profitto, cui fa riferimento l’art. 240, comma 1, c.p. deve essere identificato nel vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dal reato, pur se a tale espressione non va attribuito il significato di “utile netto” o di “reddito”, ma quello di “beneficio aggiunto di tipo patrimoniale”, a superamento quindi dell’ambiguità che il termine “vantaggio” può ingenerare”.

Infatti, il prodotto del reato rappresenta il risultato, cioè il frutto che il colpevole ottiene direttamente dalla sua attività illecita.

Il profitto, a sua volta, è costituito dal lucro, e cioè dal vantaggio economico che si ricava per effetto della commissione del reato.

Il prezzo, infine, rappresenta il compenso dato o promesso per indurre, istigare o determinare un altro soggetto a commettere il reato e costituisce, quindi, un fattore che incide esclusivamente sui motivi che hanno spinto l’interessato a commettere il reato.

La confisca per equivalente può riguardare (a differenza dell’ordinaria confisca prevista dall’art. 240 c.p. avente ad oggetto soltanto cose direttamente riferibili al fatto illecito) beni che, oltre a non avere nessun rapporto con la pericolosità individuale dell’agente o della cosa in sé, non hanno alcun collegamento diretto con il singolo reato.

Difatti, tale provvedimento non ricade di-rettamente sui beni costituenti il profitto del reato, ma ha per oggetto il controvalore di essi.

Nei reati tributari il profitto del reato, generalmente coincidente con il vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dal reato, si identifica con l’ammontare delle ritenute o dell’imposta sottratta al fisco, che costituisce un vantaggio patrimoniale direttamente derivante dalla condotta illecita, anche se consistente in un risparmio di spesa.

L’assenza di un rapporto di pertinenzialità fra il reato fiscale e i beni confiscati, implicando il venir meno della connotazione di pericolosità della cosa confiscata rispetto all’equivalente profitto o prezzo del reato, fa assumere al provvedimento ablatorio non già la fisionomia della misura di sicurezza, ma di una misura a preminente carattere sanzionatorio.

Nicola Recinello Coordinatore Nazionale Dipartimento Giuridico

Avv. Paola Michelini Consigliere Nazionale Dipartimento Giuridico